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L’ultima stagione, la 6, sarà online su Netflix il 3 luglio e vi lascerà a bocca aperta, parola di Benedetta Degli Innocenti. Che ci parla delle Ragazze del centralino.

«Quello delle Ragazze del centralino (Carlota Rodríguez de Senillosa) è un personaggio che mi sta molto a cuore e che ho trovato subito congeniale. Ha un carattere particolarmente forte per il tempo in cui ci troviamo (Anni Trenta), le protagoniste sono un gruppo i giovani donne che lavorano in un centralino, alle prese con vicende molto avanti per l’epoca, c’è un personaggio transessuale (che poi è il mio compagno). Ebbene, nonostante fossi già abituata a confrontarmi con tematiche abbastanza atipiche, il finale – che non riveleremo – mi ha lasciata completamente di stucco. Con le colleghe doppiatrici ci chiamavano commentandolo. È un finale che non fa sconti, che non si aspetterebbe nessuno. L’ho trovato apprezzabile per questo, c’è gran coerenza dall’inizio alla fine, tutto ha un senso. Ed è una conclusione più che degna, che mi ha fatto anche rivalutare la serie.

A parte Carlota, però, il doppiaggio che mi ha portato più fortuna, cambiando anche la considerazione generale nei miei confronti – ed è anche un lavoro che mi è piaciuto tantissimo – è  Lady Gaga in A star is born. Un personaggio meraviglioso, che ha fatto un percorso analogo al mio: mi ci rivedo in quel senso di rivalsa, in quella voglia di farsi strada solamente facendo leva su quello che pensi di saper fare… mi ha appassionata e lei è stata bravissima. So che ha in cantiere un altro film (di Ridley Scott, “Gucci”, in cui dovrebbe interpretare Patrizia Reggiani, la presunta assassina) e spero di poter continuare questo sodalizio. Ma oltre a doppiare di nuovo Lady Gaga c’è un’altra cosa che mi piacerebbe davvero fare: se potessi tornerei agli Anni Settanta per doppiare Mia Farrow in Rosemary’s Baby, che è il mio film preferito. Fu il primo nella storia a trattare determinati temi in un certo modo e mi piacque molto l’interpretazione della Farrow (e anche il suo doppiaggio, affidato alla Di Meo, proprio qui vicino a me ora).

Per doppiare io uso un segreto: una volta assodata la tecnica (dopo qualche anno diventa la tua cintura di sicurezza, è la base che ti salva se hai una giornata no) cerco sempre di trovare nei personaggi che doppio qualche affinità con il mio modo di essere e di concepire le cose, però sempre ovviamente rispettando quello che è stato fatto in lingua originale. Non devi imporre la tua personalità attoriale, però trovare un qualche punto in comune aiuta a sentirlo più tuo. Del resto per me il doppiaggio è ancora un divertimento: l’ho scelto a 19 anni, non conoscevo nessuno. E se punti tutto su qualcosa è difficile che ti passi la voglia.

Sono sempre stata appassionata di doppiaggio: sin da ragazzina mi divertivo a riconoscere le voci e poi a dare loro dei nomi (per imparare chi stesse meglio su chi secondo me), insomma, mi sono fatta una cultura sul tema. A 17 anni ho saputo dell’esistenza di un corso di doppiaggio a Pescara e mi sono presentata, accompagnata da mia madre. Gli insegnanti erano Roberto Pedicini e Christian Iansante. E il provino è andato bene, nonostante un handicap iniziale: io nella vita sono balbuziente. Ebbene Pedicini e Iansante ovviamente se ne sono accorti, pensando giustamente che potesse essere invalidante: eppure una volta di fronte al microfono, pur non avendolo mai fatto, hanno visto in me una piccola predisposizione. E hanno deciso, data la mia giovane età e inesperienza, di lavorare su quella. Come fossi un foglio bianco da plasmare, hanno scommesso su di me.»