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Riccardo Rossi presta la voce al protagonista di un film recentemente uscito su Netflix, Black Beach “Un film dalla doppia anima, che inizia in un modo e, invece, si trasforma a metà film in qualcos’altro.”

Leggendo la recensione l’impressione è che lavorare su un film così possa essere molto difficile, ma Riccardo chiarisce subito: «È vero che il doppiatore fa meno lavoro di preparazione rispetto all’interprete vero e proprio, e lavora sull’immediatezza, ma in realtà prima di arrivare al leggio c’è un gran lavoro dietro al doppiaggio: c’è la traduzione, poi l’adattamento dialoghi, poi il direttore del doppiaggio – che è in un certo senso il regista e che vede tutto il film – fa la distribuzione, chiama l’attore giusto per la parte. E poi spiega tutto ai doppiatori, le sfaccettature di ogni personaggio. E in questo caso devo dire che Francesco Prando è stato bravissimo.

Anche se pare che tra qualche anno non serviremo più… [ride] Hanno chiamato mia sorella Emanuela Rossi per un servizio su Studio Aperto.

In cui si parla di questa startup israeliana capace di “doppiare” i film in tutte le lingue utilizzando la voce dell’attore originale… Certo, la tecnologia va avanti, ma non so se sarà possibile, perché l’interpretazione è qualcosa fatto di sentimento, di emozioni… non so quanto un’AI riesca a riprodurre queste variabili, non credo sia riproducibile. Come a teatro, che dà un’emozione sempre diversa. Anche io non è che nella stessa frase ho la stessa intonazione, varia da giorno a giorno, da momento a momento, sono cose di attimi. E invece a quanto pare un giorno ci saranno attori virtuali, voci virtuali, non ci sarà più di niente di reale. Ci saranno solo gli ologrammi… è terribile, ma tutto è possibile.

È da quando ero ragazzino che dicono che questo lavoro sarebbe sparito, eppure sono 50 anni che faccio ‘sto mestiere. Anche questo film ad esempio è fatto di emozioni, di tradimenti, di momenti di amore, odio, passione… è il nostro mestiere far trasparire queste cose, non so come una macchina potrebbe farlo.

Il doppiaggio è un mestiere a metà tra l’artista puro e l’artigiano, ci sono componenti artistiche, ma anche artigianali, facciamo un pezzo diverso ogni volta, come un falegname che scolpisce il legno. Gli artigiani sono un po’ spariti ultimamente, ma ci sono cose che solo loro possono fare e la grande industria no.

Per questo non sono d’accordo quando sento generalizzare e dire che nel doppiaggio non c’è più la qualità di una volta perché le piattaforme di streaming hanno cambiato il nostro lavoro, penalizzando la cura con cui viene fatto. In realtà non credo che abbiano cambiato nulla, hanno dato più possibilità al doppiaggio a livello di lavoro e ci hanno sostenuto in un momento di crisi globale. L’abbassamento di qualità semmai era preesistente alle piattaforme, e anzi, Netflix ha uno standard di qualità molto alto. In Black Beach il lavoro di doppiaggio ha seguito tutti i crismi, con i tempi e le modalità giusti. E secondo me si vede (ho visto il film ieri sera, anche per essere preparato a questa intervista…)»