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Prima Suburra, la prima produzione italiana di Netflix e ora, seppure “solo” con la voce, la prima produzione Netflix di Shondaland, Bridgerton (online dal 25 dicembre): Jacopo Venturiero è l’uomo dei primati, anche se lui si schernisce per questa definizione…

Ci siamo fatti raccontare da questo artista qualcosa di più del suo lavoro.

foto Francesco Ormando

«Quelli dell’attore e del doppiatore sono due lavori completamente diversi, con caratteristiche e soprattutto tempistiche diverse. Con Suburra tra provini, preparazione e riprese delle due stagioni sono stato impegnato 2 anni, mentre il doppiaggio di una serie può esaurirsi in una settimana. Il primo è un lavoro di creazione, il secondo di traduzione di un lavoro già fatto. Io ho sempre fatto l’attore ed è a questo che mi sento più legato… Ma davvero, non si può fare un confronto. Posso dirti però che durante il doppiaggio di “Bridgerton” c’è stato da subito un clima molto bello, abbiamo riso davvero tanto!

La recitazione, il doppiaggio, gli audiolibri sono attività molto diverse, ma al tempo stesso hanno una cosa in comune: per farle bisogna essere attori. Sembrerà scontato, ma non lo è. Anche quello degli audiolibri è un mondo di creazione, perché sei tu a raccontare la storia, nelle modalità che ritieni più giuste per trasferire il messaggio dell’autore, per farti tramite di una storia. Come deve fare un attore in teatro o al cinema, in fondo. Per il doppiaggio, come ho detto, è l’opposto. Si entra in sala a lavoro già fatto, senza nessuna preparazione al riguardo, né la conoscenza o lo studio della sceneggiatura. È un puro atto tecnico di traduzione, nel senso più ampio e completo sia di “tecnico” che di “traduzione”, ma questo chi legge lo sa meglio di me…

Il doppiaggio è un servizio che si offre allo spettatore. Questo servizio, poi, nei migliori dei casi, è un’opera di artigianato magnifica, che mette insieme competenze e abilità incredibili. Rimango affascinato, a volte, per la bravura di alcuni attori, per come riescono a restituire le immagini, le azioni, i pensieri degli attori che doppiano.

Poi è normale che, da attore, io voglia vedere film e serie in lingua originale, perché altrimenti non potrei apprezzare il lavoro di mesi fatto sul set e fuori, che confluisce nell’unicità e nella verità del presente, del “momento per momento” di quella scena in quelle specifiche circostanze. La “vita” insomma, che gli attori inglesi e americani sono così bravi a ricreare.

Detto questo io devo molto al doppiaggio, sia perché ho scoperto un mondo meritocratico e niente affatto chiuso, come spesso si dice, sia perché mi ha insegnato e mi sta insegnando tanto anche per il mio lavoro di attore. Bisogna fare tesoro di tutte le esperienze che ci si offrono e tornare a lavorare come i grandi del passato, che con estrema disinvoltura passavano dal teatro, al cinema, alla radio, al doppiaggio.

Per fare questo lavoro bisogna studiare, sempre. La fortuna conta tantissimo, è vero, forse troppo, in un sistema produttivo dove il merito non solo non viene premiato, ma il più delle volte neanche riconosciuto, ma a maggior ragione dobbiamo perfezionarci, essere degli attori migliori e sviluppare un senso critico che ci permetta, non solo di riconoscere un film o uno spettacolo di qualità, ma anche di capirne il perché.

Il “successo” non ha niente a che vedere con il mestiere dell’attore, può arrivare come può non arrivare, quello che conta è lavorare bene, con onestà.»