«Io ho una teoria sull’Italia: l’intellighenzia italiana è cretina ed ignorante in tutti i campi. A cominciare da quello politico, per finire con quello culturale. Non siamo messi bene.»
Attore con una lunga carriera alle spalle, con solide basi teatrali e molta esperienza, Gerolamo Alchieri non le manda certo a dire. E quando gli diciamo che molti suoi colleghi dicono di amare il doppiaggio perché consente loro di non essere visibili in scena, di preferire il “dietro le quinte” ribatte prontamente: «Ma non è vero, mentono spudoratamente! Chi fa il mestiere dell’attore in tutte le sue forme vuole essere al centro dell’attenzione.»
Lo intervistiamo in occasione del rilascio, su Netflix, di Isi & Ossi, commedia romantica in uscita oggi al cui doppiaggio Gerolamo ha partecipato.

Gerolamo Alchieri ©VIX Vocal
«La mia esperienza forse è un po’ diversa da quella di molto colleghi. Io per 22 anni ho fatto esclusivamente teatro. Ho iniziato il doppiaggio a 40 anni passati. E ho iniziato perché in Italia ora il teatro lo fanno più facilmente veline e tronisti che non gli attori, mentre almeno nel doppiaggio è richiesto un minimo di know how, di tecnica, altrimenti si dura poco. Il lavoro di tutti i giorni va svolto velocemente e se non hai un minimo di preparazione attoriale e tecnica non ce la fai. In Italia, visto che televisione, cinema e teatro non sempre sono in mano a professionisti, il doppiaggio è un’isola felice, dove si difende la professionalità. È un mestiere meritocratico, perché è un mercato che macina tanto denaro, quindi deve essere veloce, non si può perdere tempo. Mentre il teatro langue, le produzioni finiscono e il pubblico ci va sempre meno, perché i prodotti sono brutti – fanno bene ad andarci meno secondo me – nelle produzioni cinematografiche e televisive il lavoro va svolto bene e velocemente.
Quindi il doppiaggio gode di ottima salute. Ed è anche grazie al doppiaggio che la lingua italiana viene salvata, anche se molti modi di dire che non sono propri dell’italiano sono entrati nel “fottuto linguaggio comune” grazie al doppiaggio. Modi di dire che nessuno userebbe mai. Quindi salvaguardia e imbastardimento nel contempo. Ma sempre meglio dell’italiano della tv: un tempo l’annunciatore parlava un italiano perfetto, cosa che non accade più. Perciò siamo rimasti solo noi, per quanto spacciamo anche roba avariata. Una colpa non tutta nostra però: spesso è colpa di chi questo mestiere lo comanda, funzionari, revisori, persone che di recitazione poco sanno, che per loro ideologia personale, oppure perché comandati da reti internazionali che impongono cose curiose, fanno errori grossolani.
Ti farò un esempio. Molti anni fa un poliziotto in un telefilm tornava da una notte di inseguimenti e omicidi, molto sdrucito e malconcio. Un suo collega gli diceva “Ma che ti è successo, sembri uscito da Armageddon!”. La funzionaria Rai, che non so chi fosse, corresse il copione scrivendo accanto al nome Armageddon: “cambiare il nome dello stilista perché questo è poco conosciuto”.
Casi come questi ce ne sono a centinaia. E tu vallo a spiegare alla signora che Armageddon non è uno stilista.»