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Dai cosiddetti “film d’autore” di solito non ci si aspetta di esser divertiti: è un impegno che lasciamo a prodotti più commerciali e mainstream, con scene d’azione tutte colpi di scena e magari supereroi.

1917 di Sam Mendes però, contravviene a questa massima, soddisfacendo le aspettative di intrattenimento che potremmo riporre su altre tipologie di film, allo stesso tempo con un confezionamento da prodotto “alto”.

Riesce nell’impresa grazie a una particolare tecnica di ripresa che simula un piano sequenza lungo tutto il film (in realtà i tagli ci sono, ma non si vedono) e che – per lo più dai detrattori – è stato associato a un videogioco (una cosa che continua a essere intesa spesso in modo dispregiativo). Da leggere per esempio Riccardo Luna, che su Repubblica lo associa a Fortnite.

Come però non ci stancheremo mai di ripetere, quella nostra per il cinema è una passione trascinante, che non fa differenze fra prodotti cosiddetti alti e mainstream, e quindi il film di Mendes ci è piaciuto parecchio, al punto che una volta usciti dal cinema abbiamo voluto saperne di più. E il Post come al solito è stato illuminante.

La cosa che abbiamo trovato più avvincente, infatti, è stata proprio la tecnica di ripresa, che fa sì che lo spettatore si senta “dentro” al film, completamente partecipe dell’azione che vede i due protagonisti George MacKay e Dean-Charles Chapman (nei panni di due soldati impiegati nell’Operazione Alberico) superare la loro trincea e attraversare la cosiddetta “terra di nessuno” e poi un territorio che potrebbe ancora essere occupato dal nemico, per portare un fondamentale messaggio a un altro battaglione di 1.600 soldati. Il messaggio deve essere portato in poche ore, per evitare a tutti quei soldati di finire in un’imboscata dei nemici tedeschi.

Director of photography Roger Deakins and director Sam Mendes

Il film quindi per due ore segue sempre e solo gli stessi personaggi, dall’inizio alla fine, senza mai andare altrove, nello spazio o nel tempo, una cosa che ci ha ricordato parecchio le “unità aristoteliche”, e Mendes conduce per mano lo spettatore all’interno della trincea grazie a una maestria che ha richiesto uno studio approfondito durato diversi mesi, proprio allo scopo di utilizzare una tecnica di ripresa come quella del lungo piano sequenza, che secondo il regista era indispensabile alla realizzazione del film.

Come sappiamo il film si è aggiudicato agli Oscar “solo” dei premi tecnici (sonoro, fotografia, effetti speciali), riuscendo comunque in un’impresa piuttosto stupefacente, quella più difficile di tutti: far sentire lo spettatore dentro l’azione, farlo divertire e raccontargli una storia.

Grazie Mendes.