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Nel nuovo film di Charlie Kaufman, online da oggi (4 settembre 2020) su Netflix, Sto pensando di finirla qui, dà la voce a Jake. Ed è per questo che abbiamo chiesto a Edoardo Stoppacciaro se questo film molto atteso meritasse le critiche entusiastiche ricevute oltre oceano.

«Io l’ho trovato una follia meravigliosa, di una lentezza a tratti esasperante, ma è sempre così carica di cose, di tensione, anche nei dialoghi all’apparenza più banali, con delle tirate lunghissime, con degli sguardi, un gioco di montaggio, regia, commento musicale ridotto all’osso… c’è sempre un qualcosa che monta e non capisci bene dove voglia andare a parare, hai la sensazione di vivere uno strano sogno completamente surreale, pieno di contraddizioni. È un film che malgrado i ritmi poco televisivi ti tiene sempre lì dandoti un senso di inquietudine latente della quale non riesci bene a individuare la provenienza, se non da qualche dettaglio che ogni tanto sbuca e ti allarma.

È un horror non horror (e vedendolo capirete perché).

Il mio personaggio è insicuro, estremamente riflessivo (anche troppo), ha un rapporto all’apparenza molto semplice con questa ragazza che lo accompagna nel viaggio, anche se ogni tanto fanno capolino momenti di tensione improvvisa e inspiegabile che spingono lo spettatore a domandarsi cosa non abbiano ancora rivelato, cosa sia successo fra di loro. Anche il suo rapporto con i genitori è molto particolare. Jake è “tutto dentro”, anche con Marco Benevento (il direttore del doppiaggio) siamo stati molto attenti nell’emissione delle battute a far sì che sembrassero sempre un po’ trattenute, è come se Jake parlasse sempre a sé stesso, come se l’interlocutore fosse un optional. È esitante, fa lunghe pause di riflessione, e magari cambia argomento, stargli dietro è stata una bella avventura.

Sono stato davvero entusiasta di farlo. E del resto io amo molto il mio lavoro. Quindi mi lascia perplesso chi (senza essere madrelingua) dice di preferire la versione originale. È quasi sempre ovvio che sia meglio l’originale, ma il doppiaggio è uno strumento di mediazione culturale che consente a tutti di fruire di un prodotto. Oggi come non è mai è facile non avvalersene, e scegliere la versione sottotitolata. Ma anche il sottotitolo è un compromesso, perché i sottotitoli intanto sono un riassunto di quello che dicono gli attori, e poi costringono lo spettatore a leggere e guardare continuamente perdendo il focus. Seguire un film o una serie con i sottotitoli è faticoso, quindi il doppiaggio, un buon doppiaggio, è fondamentale per godersi i prodotti in una lingua diversa dalla propria.

In questo caso specifico, per Sto pensando di finirla qui, poi, in sala di doppiaggio è stato fatto un ottimo lavoro, con immensa passione, cura e dedizione da tutti. E credo che si veda.

La cosa che più mi diverte del doppiaggio è poter saltare da una vita all’altra mille volte durante la giornata: la mattina sono un chirurgo plastico nell’ospedale di Grey’s Anatomy, il pomeriggio sono Cesare Borgia e la sera sono un trancio di pizza parlante in un cartone animato demenziale. Il giorno dopo si ricomincia: la mattina sono un serial killer, il pomeriggio sono Paperoga in Ducktales e la sera sono un poliziotto con un disturbo post-traumatico da stress perché è stato in Vietnam. È un gioco continuo, è questa la cosa che in assoluto mi piace di più.

Comunque per essere un buon doppiatore la caratteristica che secondo me è necessario possedere è l’empatia: per fare tuo un personaggio e renderlo al meglio è essenziale calarsi nei suoi panni. Se sei in grado di provare le emozioni che prova lui e di risputarle nella tua lingua allora puoi dire di aver fatto bene il tuo lavoro. Il che comporta anche una certa rinuncia a sé stessi, mi aiuta a dimenticarmi di Edoardo e a diventare il personaggio che doppio di volta in volta. Il prossimo a cui vorrei prestare la voce è uno degli Acchiappafantasmi. Io sono un patito dei Ghostbusters e visto che ora si sta parlando di un nuovo film, di serie tv e altri progetti, spero tanto di venir coinvolto.»