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In La Barriera, serie Netflix che sta uscendo proprio in questi giorni, dirige il doppiaggio e presta la voce ad Alma. Ecco perché Claudia Catani ci è sembrata la persona giusta per farci raccontare questa nuova produzione spagnola del colosso dello streaming.

«È una serie che ha un sincronismo eccezionale con i tempi che stiamo vivendo. È ambientata in Spagna, siamo intorno al 2040, c’è stata una guerra mondiale e un’epidemia, e il paese ne esce vincitore instaurando uno stato di polizia. È molto interessante soprattutto il personaggio di Angela Molina, una donna semplice, che si lascia vedere per quello che è. Ma anche Alma, la donna a cui presto la voce, è particolare. L’attrice argentina che la interpreta è pluripremiata, è infatti molto brava, e ha una recitazione molto tecnica ma anche molto espressiva. Affascinante, raffinata, aristocratica, inquietante. Nella serie è una grande cattiva, quindi mi sono divertita moltissimo.

Per doppiarla ho attinto a quello che secondo me dovrebbe essere il bagaglio di ogni doppiatore: sensibilità ed empatia sono fondamentali perché per essere un doppiatore devi sviluppare la capacità di risuonare con tutta la gamma espressiva ed emotiva dell’attore che viene doppiato.

Per me la ‘risonanza’ è una legge importantissima: noi abbiamo la fortuna di ripercorrere un tracciato già delineato, e quindi bisogna essere principalmente attori sensibili, avere un background personale così ricco da poter risuonare facilmente.

Il doppiatore deve essere un attore lui stesso e poi introiettare l’interpretazione di un altro attore: in questo senso è un doppio-attore. Essere un attore richiede una nudità dell’anima, una malleabilità emozionale profonda perché si deve poter interpretare tutta la gamma delle nostre emozioni. Entrare nei panni di un altro attore come attore: ecco perché doppio-attore. Restituire un’interpretazione nella maniera più creativa, lineare, calzante possibile all’originale, sia a livello di interprete che a livello di direttrice del doppiaggio, è ciò che più amo di questo lavoro, ciò che mi nutre. Anche quando dirigo. In quel caso è un po’ essere come un direttore di orchestra, quando suoni e melodie sono correlate da una partitura che ha una logica, una narrazione, una ritmica, un percorso e uno stile che bisogna riuscire a rendere. Fare tutto ciò è nutriente, è una grande soddisfazione.

Anche da fruitore però posso dire che il doppiaggio è un valore aggiunto: non pensiamo a lingue più comuni come l’inglese, il francese, lo spagnolo, ma magari a quelle meno fruibili per noi (il polacco, lo svedese…), giunte a noi grazie a un’opera di traduzione. Ma anche per le lingue più comuni ci sono prodotti che necessariamente devono essere presentati nella nostra lingua per una maggiore possibilità di fruizione, perché in alcuni casi sarebbe difficile cogliere il messaggio di certi film. Altrimenti diventa un ‘accanimento terapeutico’ questo voler restare sempre connessi all’originalità.»