L’emergenza sanitaria ha investito anche il settore del doppiaggio, che sta, faticosamente, recuperando il terreno perso. Ne parliamo con Marco Guadagno, per sentire come ha fronteggiato questo momento di necessario cambiamento.
«Abbiamo ripreso normalmente da un mese circa, anche se con le dovute precauzioni e con i conseguenti ritardi. Ovviamente la situazione è complessa, ma il primo interesse è stato sicuramente quello di tutelare tutte le persone che lavorano con noi. Ogni azienda ha le sue procedure da seguire e noi ci siamo attenuti alle indicazioni ministeriali, investendo in prodotti sanificanti e igienizzazioni, abbiamo mascherine chirurgiche, guanti e face shield medici, divisori in plexiglass o in tessuto nelle sale in cui direttore e fonico normalmente lavorano insieme.

Purtroppo però nei momenti di panico – anche informativo – tutti gli italiani diventano esperti di qualcosa, e i doppiatori non fanno eccezione. Sono diventati scienziati ed epidemiologi e ognuno vuol dire la propria e si è scatenata anche una sorta di gara a chi applicava meglio le disposizioni ministeriali… mentre mi pare che servano soprattutto il rispetto della salute, ma anche buonsenso e teste pensanti.
Sicuramente il nostro lavoro è particolare perché si svolge in stanze chiuse e buie, quindi necessita di interventi importanti per essere ripensato in un momento di emergenza sanitaria come l’attuale. Ma l’emergenza si è trasformata, a volte, nel pretesto per le associazioni di categoria e i sindacati, per provare a dettare alle imprese delle regole su come lavorare. Mentre io rivendico la mia libertà di fare impresa e di far lavorare i miei collaboratori come ritengo più giusto, naturalmente sempre nel rispetto della legalità e delle norme di sicurezza fissate dagli enti preposti.
Mettiamoci inoltre che la nostra professione si aggancia a un contratto rinnovato nel 2008 ma redatto nel 1986 che non ha più motivo di esistere, completamente obsoleto e distante dal mercato, e abbiamo il quadro completo della situazione stagnante in cui ci troviamo.

E invece questa emergenza ha rilanciato un aspetto importante: la necessità di ripensare l’intero contratto, di valutare le innovazioni tecnologiche più prontamente. Di riqualificare il nostro lavoro, e tutto questo a mio avviso non passa necessariamente attraverso un aumento delle tariffe, ma attraverso dei nuovi principi base fondati sulla qualità e sulla formazione dei lavoratori di tutte le categorie, anche tecniche. E aggiungerei anche sulla meritocrazia.
Noi abbiamo fatto diversi studi e test per provare il doppiaggio da remoto laddove necessario e abbiamo implementato un sistema che potrebbe funzionare, è complesso e qualitativamente non è il massimo, ha dei tempi più lunghi, non è né semplice né ottimale, ma credo che in queste situazioni ci si dovrebbe aprire al futuro e alle sperimentazioni. Questo purtroppo sta già avvenendo fuori dal nostro paese e in alcune situazioni si possono già trovare dei “doppiaggi” scadenti fatti all’estero da chi conosce il dubbing, ma non il doppiaggio italiano.
Insomma prima dell’emergenza, lo smart working sembrava una chimera, soprattutto in Italia, e invece ora praticamente in tutto il mondo il settore terziario si è convertito alacremente a questa pratica.
La nostra categoria è invece chiusa e sclerotizzata in un vecchio sistema che avrebbe un estremo bisogno di essere rimodellato sulla realtà attuale del mercato.
Spero davvero che questa emergenza possa essere un motore per rivedere tutta una serie di cose, per stabilire nuove regole di cui c’è bisogno anche per riqualificare professionalmente questo lavoro che negli ultimi anni ha avuto, mi duole dirlo, anche un abbassamento della qualità.
Abbassamento che va attribuito al comportamento poco corretto di alcune società che pur di prendere lavoro hanno fatto concorrenza sleale e anche di alcuni professionisti che sono stati conniventi con quelle società.
Inoltre c’è stato l’ingresso nel settore di tante persone che non hanno ancora le basi per fare questo lavoro, ma sono state tirate dentro con troppa “generosità” per via della crescente domanda.
Ribadisco il concetto di affidarsi ad un criterio meritocratico. Solo così si riqualifica il mestiere. In modo da stimolare anche i lavoratori stessi a migliorarsi.

Oggi ci troviamo con persone poco equipaggiate per questo lavoro e che guadagnano come chi invece ha una storia e soprattutto una competenza ben diverse.
Il compenso dei doppiatori prevede una certa tariffa oraria: un ragazzo alle prime armi che fa un doppio turno di “brusio” (la cosa più piccola e semplice) potrebbe guadagnare più di un direttore di doppiaggio che magari fa un turno di tre ore e ha ben diversa responsabilità.
Basti pensare che il gettone di presenza e il compenso per le righe sono uguali per tutti: così un emergente, a parità di righe lavorate, guadagna la stessa cifra di un attore formato. Ogni artigiano ha una sua cassetta degli attrezzi per svolgere il proprio lavoro, e invece alcune delle persone che fanno il nostro lavoro non hanno questa cassetta degli attrezzi: entrano in una sala di doppiaggio e non sanno come respirare, come portare la voce, non sanno cosa sia il timbro…
Risulterò impopolare, ma penso che sia essenziale definire degli standard su questi punti in un nuovo contratto di settore, introducendo la necessità di una seria formazione professionale, di corsi di aggiornamento, etc., per rialzare la qualità del nostro lavoro.
Insomma, dovremmo davvero trasformare questa emergenza in un’occasione da non sprecare. Usando la creatività.»