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«Il doppiaggio va fatto bene o non va fatto»: è la dichiarazione tranchant di Annalaura Carano, direttrice della divisione Theatrical Dubbing di Warner Bros. Entertainment Italia, e vecchia conoscenza di Marco Guadagno.

«Con Marco come direttore del doppiaggio e come adattatore ho lavorato già in occasione di “Spiderman” l’anno scorso. In questo momento collaboriamo su “Peter Rabbit” (in uscita il 22 marzo), un’animazione inglese tratta da un libro di Beatrice Potter diventato anche una serie tv. Ma ci conosciamo da tanti anni: mi ricordo per esempio il film “Man on the moon” (1999), che ha avuto poca fortuna in Italia, ma era splendido [se ne sta riparlando ultimamente con l’uscita di “Jim & Andy”, documentario con Jim Carrey che parla proprio della lavorazione del film, n.d.r.]. Un film sperimentale che ci siamo divertiti da morire a fare, perché presentava una serie di sfide – di recitazione e di interpretazione – che altri film più commerciali non presentano.

Comunque ogni film è complesso: quando dobbiamo portare una pellicola sul mercato italiano la difficoltà maggiore è renderla al meglio nonostante le limitazioni imposte dal doppiaggio e dalla lingua. Ci penalizza non avere un gergo nazionale, come gli americani. I nostri sono tutti gerghi regionali, le poche parole che si conoscono da Bolzano a Messina sono 4 o 5, per il resto ognuno usa dei termini regionali, dialettali, e questo impoverisce molto l’adattamento. È complicato rendere la differenza di classe sociale, modo di parlare, istruzione in un doppiaggio, e infatti spesso quello che si sente in televisione è quasi ridicolo, perché parlano tutti come professori universitari.

Ad ogni modo il doppiaggio è necessario per portare il prodotto al largo pubblico, anche perché noi italiani siamo stati disabituati da sempre a leggere i sottotitoli, a sentire i film in originale. Anche se per le nuove generazioni è diverso. Il doppiaggio però va fatto bene: non si può utilizzare un attore che ha 10, 15, a volte anche 20 anni di più di un interprete, che è quello che succede molto più spesso di quanto non si creda. Io guardo molte serie tv, prevalentemente in originale, e quando mi è capitato di rivedere lo stesso prodotto doppiato ho trovato dei personaggi profondamente diversi. Cioè: il doppiaggio va fatto bene o non va fatto, a quel punto è molto meglio sforzarsi di leggere dei sottotitoli.»

Stimolati da un articolo di Altrospettacolo sul film “Chiamami con il tuo nome” di Luca Guadagnino (candidato a 4 premi Oscar) dove leggiamo “Siamo alla versione 2.0 della diatriba tra doppiaggio sì/doppiaggio no, ad un livello che ci obbliga una volta tanto a dover propendere per una parte ed una soltanto” abbiamo incalzato Annalaura Carano sul tema: «Il film in originale è ricco perché ci sono 3 lingue. E anche il dialetto perché alcuni personaggi della zona lo parlano. E infatti la mia idea – che però non è stata condivisa dal regista – era quella di doppiare solamente il dialogo in inglese e di lasciare il francese dei personaggi, che lo usano per piccoli interventi. Alla fine invece è stato fatto un doppiaggio classico tutto in italiano (tranne per quei pochi personaggi in presa diretta che parlavano in dialetto e che siamo riusciti a recuperare), con le voci principali che sono state approvate dal regista. Di certo così si perde la multiculturalità di questa famiglia, che è un po’ francese, un po’ americana e un po’ italiana. Quindi alla critica di Altrospettacolo posso rispondere che è questione di stile, di scelte, di gusto personale quasi. Comunque è disponibile una bellissima copia in versione originale con i sottotitoli!

Io anzi mi auguro che ci sia più gente che vada a sentire i film in originale, più che altro per rendersi conto di quanto poi certi abbinamenti che sono stati fatti nel corso degli anni sui grandi attori americani non sempre siano precisi. Come dicevo prima, per età, ma anche per il tipo di voce. Si pensa che se uno fa il protagonista debba avere un timbro alla Francesco Prando, insomma una di queste belle voci classiche. Non è così: anche se uno fa il protagonista deve avere la voce che ha. Bisogna cercare di essere il più fedeli possibile all’originale. Poi ci sono direttori e committenti che fanno scelte diverse, magari per questione di continuità o perché si sono innamorati di una certa voce, ma secondo me questa cosa non paga mai. E fondamentalmente non è corretta.»