Lost in Space stagione 2 è su Netflix. L’occasione giusta per fare due chiacchiere con Emanuela Ionica, doppiatrice classe 1997, che nella serie doppia Mina Sundwall (Penny Robinson).
«Mi hanno fatto tutti i complimenti per il doppiaggio di questa serie! Uno cerca sempre di essere all’altezza all’attore che sta doppiando e di rendere giustizia alle sue azioni, al suo stato emotivo, all’energia che ha e questo è quello che si prova a fare ogni volta, poi certo, la giornata storta capita a tutti, però quando mi fanno dei complimenti – soprattutto su un personaggio che trovo molto simile a me per certi versi – mi fa tanto piacere.
Anche se una notorietà inaspettata me l’hanno portata Violetta e Vaiana Waialiki (Ocenia): le ho doppiate in due periodi vicini della mia vita, e non mi aspettavo che mi scrivessero (principalmente su Instagram) così tante persone, per chiedermi file audio, per sentire la mia voce, perché il personaggio gli piaceva tantissimo… Sono due serie dedicate ai bambini, ed è stato bellissimo vedere le loro reazioni, filmate dai genitori, quando ricevevano questi file audio con la voce della loro beniamina, alcuni iniziavano perfino a piangere! È una enorme soddisfazione perché comunque non ti senti solo di esser stato bravo, ma anche di aver reso felice un bambino: cioè, sono proprio io a provocare una tale emozione!
Mi sono sentita molto vicina al personaggio di Violetta mentre lo doppiavo, perché anche io canto. Doppiare Vaiana invece inizialmente è stato strano, quando ho vinto il provino ero incredula, perché io ho paura dell’acqua da quando sono piccola e non mi sarei mai aspettata di fare un personaggio completamente legato all’acqua.
Poi c’è stato un personaggio che mi ha cambiata e accompagnata in periodo particolare, quello di Monika Schöllack interpretata da Sonja Gerhardt nella serie Una strada verso il domani – Ku’damm 56, una ragazza degli Anni 50/60 che ama ballare, con una madre molto severa, una mini-serie molto intensa a livello emotivo. L’ho iniziata in un periodo molto difficile della mia vita ed è stato quasi catartico doppiarla, perché stavo affrontando alcune difficoltà e stare in sala 12 ore al giorno ed entrare in quel personaggio lì mi dava poi la forza di affrontare i miei problemi. Ho imparato molto, perché era un personaggio molto forte che ha sofferto tanto e che però riusciva sempre a risollevarsi. Mi ero profondamente immedesimata in lei, mi ha ispirata e portata a fare scelte diverse. Il mio lavoro mi aiuta molto da questo punto di vista, ho iniziato a farlo per questo: ero una bambina molto timida e chiusa, e avevo paura a parlare con le persone, avevo tantissima ansia da prestazione, ma stare chiusa in una sala buia con un microfono davanti riusciva a far uscire tutti i lati della mia personalità e questo mi ha fatto crescere anche come persona, è stato come curare certi aspetti delle mie insicurezze.
Più sei a contatto con te stesso e le tue emozioni e meglio riesci nel doppiaggio. C’è dietro uno studio continuo, ovviamente, ma io uso un trucchetto: guardare gli occhi dell’attore, perché così puoi capire in profondità cosa sta provando l’attore e riesci ad andare oltre quello che la battuta dice, e quindi a dare qualcosa di più.»