Nella versione italiana firmata da 3Cycle del monumentale The Irishman di Martin Scorsese dirige il doppiaggio e presta la voce a Harvey Keitel: signore e signori, ecco a voi Rodolfo Bianchi.
«Difficilmente doppio un personaggio in un film che dirigo, ma in questo caso Keitel ha ben poche battute, quindi ho potuto farlo. Altrimenti avrei chiamato un collega a dirigere perché da soli a volte non ci si rende conto di alcune cose, mentre quando sei direttore la visione è altra e più ampia, è necessario avere una coralità, un suono omogeneo nel film, e quindi se sei al leggio è difficile che tu riesca a far tutto a meno che tu non abbia il dono dell’ubiquità. Facendo direzione e doppiaggio insieme si rischia di impiegare il doppio se non il triplo del tempo, perché ci sarebbe la necessità dopo ogni spezzone di andare a risentirlo e a rivederlo col risultato che probabilmente – visto che di solito con sé stessi si è più severi – si ripeterebbe ogni battuta più e più volte.
Questo perché – da contratto – tutto è nelle mani del direttore, anche se nel doppiaggio tutti contribuiscono al risultato finale, in modo anche abbastanza importante. Ogni altra figura è fondamentale: lo è un assistente al doppiaggio, per aiutare nei synch, per preparare il film e la lavorazione anche ai fini economici e per una responsabilità tecnica, lo sono il fonico, il sincronizzatore, l’adattatore dei dialoghi: insomma il doppiaggio è un lavoro in cui il risultato è fatto di squadra, senza quella non c’è un buon prodotto.
The Irishman è stato difficile come lavoro, ma come tutti del resto: si gioca tutto sulla concentrazione, sulla capacità di tutti di mettersi a disposizione del lavoro. Penso che la prossima sia sempre la sfida più difficile che possa capitare, non sai mai cosa hai di fronte e che difficoltà si presenteranno. La bellezza della nostra professione è che ogni giorno è diversa. Un film può presentare delle criticità a prima vista insormontabili, ma il prossimo ne presenterà altrettante e diverse. Non sai mai che interpretazione dovrai tirare fuori, che tipo di emozioni, di colori.
Il segreto per fare bene questa professione è affrontarla con umiltà. Questa e lo studio sono le cose indispensabili per chi vuole fare il doppiatore. Studiare recitazione, capire come recitano gli altri, rubare da tutti: è una cosa fondamentale. E poi farsi una cultura di storia, di cinema, teatro, letteratura. Rimanere umili, cercando di crescere e di avere ambizione, certo, ma anche di imparare, colmare le lacune che si hanno e capire come migliorarsi sempre. E non pensare mai di essere arrivati, perché è un percorso lungo e difficile ed essere in grado di affrontare ogni sfida che il mestiere propone è un punto di arrivo che è sempre un po’ più avanti di noi.»